Il post “giocografia” di Alessio, l’intervista ad Andrea e la lettura di decine di esperienze nell'ambito del nostro hobby, mi ha chiarito l'importanza fondamentale del
background personale.
Il background più comune ha spesso che fare con vecchi giochi da tavolo su cui ci si è fatti le ossa, con letture di storia militare, con il modellismo praticato sin dall’infanzia. Un cumulo di esperienza ludica che nel tempo ha aperto le giovani menti, preparandole all’esperienza del Wargame 3D.
Non sto cercando di formulare regole generali, ma di comprendere la mia anomalia tramite la mia storia.
E in effetti, io non ho una storia ludica di tipo evolutivo, cresciuta di gioco in gioco, di sistema in sistema, fino al raggiungimento di una certa padronanza nella gestione della complessità wargameistica.
Ho cominciato con un bustone di soldatini simil-1/72 da bancarella, ricevuto in regalo. Rossi e Blu, pieni di sbavature. Brutti al limite dell’orrendo. Li schieravo per terra ed emettevo suoni che simulavano il rumore della battaglia. Più avanti cominciai a giocare con un amico il quale, armato dei suoi meravigliosi Atlantic 1/72, dimostrava cordiale disprezzo per i miei poveri palsticoni. Non sapendo tollerare la vergogna, acquistai scatole su scatole di Atlantic (mai pagati più di 500/600 lire a confezione).
Il nostro primo “regolamento” fu semplice: piazzavamo i soldatini rigorosamente NON dipinti sul pavimento, lanciavamo a turno un oggetto per colpirli. Chi restava senza miniature in piedi, aveva perso la battaglia.
Nel corso degli anni (Scuole Elementari e Medie) affiancammo al gioco tutto un "mondo narrativo” elaboratissimo creando 2 Imperi (li conoscete già come Undez e Petra) che poi si unificarono (Petrundez) contro il coetaneo di turno. Nessuno però riuscì a sopportarci a lungo. Gli altri ragazzini si stancavano dei nostri mondi troppo astratti e complessi. Credo ci considerassero strani. Arrivammo entrambi a registrare per iscritto ogni evento, raggiungendo un livello di complessità impressionante: genealogie di imperatori, elezioni politiche, popolazioni ed etnie sempre più numerose, evoluzione tecnologica fino alle guerre spaziali, logistica, cartine geografiche e mappe (le piantine dei rispettivi appartamenti, che erano i territori reali dell’Impero), combattimenti per la conquista di pezzi di mobilio o di intere stanze.
Le regole di gioco, invece, cambiarono poco: aggiungemmo nel corso degli anni delle regole sulle le truppe nascoste, sul conto dei feriti (i soldatini caduti a pancia in giù) e dei prigionieri, sull’utilizzo di alcune armi più complesse (lancio di oggetti più grossi o lanci doppi), sulle avanzate, sui mezzi (fatti di costruzioni).
Mai, mai e poi mai utilizzammo i Dadi o regole vere e proprie.
Mai provammo giochi da tavolo.
Mai, sostanzialmente, sbattemmo la testa sulla lettura di regolamenti di gioco o ci avventurammo in scenari o eserciti, che non fossero frutto della nostra fantasia.
Con l’avvento delle scuole superiori, io gradualmente abbandonai questa passione (aimè!!!), dimenticandomene per una quindicina di anni, ma ritrovandola da qualche anno a questa parte.
Mi rendo conto di non avere un background tipico alle spalle e di non poterlo più recuperare. La mia esperienza con i soldatini, che ora chiamo “miniature” (!?!), è grezza. Zero teoria. La Fase di Fuoco era: "BANG e lancio di oggetti"; la Fase di Movimento era: “non ti conviene andare dove il nemico può colpirti”. Stop.
Ora comprendo meglio e accetto con più serenità, la mia incapacità di studiare Regolamenti, di qualsiasi tipo e complessità; l’odio per i modificatori; l’intolleranza agli obblighi storici, modellistici e uniformologici. E mi spiego anche la necessità inderogabile di raccontare e inventare e di dare un senso narrativo a qualsiasi battaglia. E mi spiego anche perché, nonostante tutti gli sforzi ed i tentativi, non troverò mai nulla che possa sostituire i miei Crossfire e Fantasy Warriors.